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Il Caciocavallo Godranese: reliquia casearia o volano di sviluppo del territorio?

di Antonino Di Grigoli e Orazio Caldarella

 

 

Il caciocavallo di Godrano è un formaggio a pasta filata ottenuto da latte bovino intero crudo che da sempre riscuote un ottimo consenso tra gli intenditori. Questo formaggio, dalla tradizionale forma parallelepipeda(Foto A), si trova sul mercato con un peso variabile dai 7 ai 12 kg e viene consumato a diverse epoche di stagionatura, come prodotto da tavola o da grattugia.

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Le tipiche forme parallelepipede del

Caciocavallo godranese, qui in grossi pezzi di peso variabiale

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Alcuni processi della lavorazione prevedono ancoro l'uso di attrezzature in legno.

La procedura di caseificazione(vedi foto a fondo pagina)), che si tramanda da generazioni, è rimasta inalterata nel tempo ed è basata sull’utilizzo di attrezzi artigianali in legno sulla cui superficie si sviluppa ed annida una microflora casearia autoctona naturale. L’acidificazione del latte di partenza e della cagliata è resa quindi possibile dai batteri lattici naturalmente presenti sia nel latte, che non subisce nessun trattamento termico mantenendo inalterate le sue caratteristiche, sia nella tina di legno(Foto B) utilizzata per la coagulazione. Tale consorzio di batteri, che forma un vero e proprio biofilm nella parete interna della tina, conferisce inoltre al formaggio flavours che lo diversificano dal prodotto ottenuto industrialmente tramite l’uso di utensili in acciaio, pochi fermenti selezionati e latte pastorizzato.

La produzione di questo formaggio, conosciuto anche con il nome di caciocavallo Palermitano, oggi è diffusa a macchia di leopardo nella provincia di Palermo e anche in alcuni comuni delle province di Agrigento e Trapani. Il territorio di origine di questa importante risorsa casearia sembrerebbe proprio il Godranese e le sue aree limitrofe, come attestato in diverse testimonianze storiche, a partire dal 1500, ritrovate presso il convento di Tagliavia o in atti notarili stipulati nel territorio di Mezzojuso che citano il “cascavallo” come mezzo di pagamento “in natura” degli affitti dei terreni. Singolarmente, tale consuetudine è sopravvissuta fino ai giorni nostri ed era molto utilizzata fino a non molti anni fa.

Il territorio di Godrano(Foto C), area montana sita nel bel mezzo della provincia palermitana, è un luogo dove ancora oggi coesistono fattori ambientali ed abilità pastorali uniche, capaci di imprimere corpo, fragranza e caratteristiche peculiari al formaggio. Le razze bovine, la varietà dei pascoli pedemontani ed il clima, sono gli elementi che concorrono inevitabilmente alla produzione di un latte di qualità dotato di caratteristiche eccellenti e idonee per la trasformazione; peraltro è ormai dimostrato che l’erba fresca dei pascoli trasferisce al latte composti chimici in grado di influenzare la qualità sensoriale del formaggio.

A nostra opinione, però, i veri artefici di questa sintesi rimangono gli allevatori-casari che, ancor oggi, ripropongono tecniche di allevamento semi-brado che prevedono il pascolamento e adottano l’antica e originaria tecnica di caseificazione.

A conferma della riconosciuta bravura dei casari godranesi(Foto D)fino a poco tempo fa i produttori di altri comuni che intendevano imparare a caseificare un formaggio commercialmente apprezzato come il caciocavallo, non potevano far altro che assumere manodopera godranese oppure seguire dei veri e propri “stage formativi” presso i caseifici del paese.

Partendo da Godrano, la produzione del caciocavallo si è poi diffusa nei territori circostanti anche perché gli allevatori del luogo, spinti dall’esigua disponibilità di superfici pascolive, hanno da sempre condotto forme di transumanza verso aree confinanti alla ricerca di foraggio, esportando contestualmente la lunga, difficile, laboriosa ed unica tecnica di caseificazione di questo formaggio.

Tuttavia, nonostante le riconosciute qualità, il caciocavallo godranese risulta ancora relegato in posizione marginale sul piano commerciale, in quanto carente di marchi certificati e dunque non riconoscibile. É evidente, però, che esso può e deve avere degli orizzonti di mercato ben più ambiziosi. 

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Un delle aree adibite a pascolo di bovini a Valle Maria ai piedi della Rocca Busambra

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Quello del casaro è un mestiere antico ed in massima parte manuale.

La conservazione di quest'arte è una sfida per la collettività che riconosce a questo prodotto un ruolo chiave nell'economia locale.

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A dimostrazione della fama di cui gode questo prodotto capita spesso di osservare sui banchi delle salumerie palermitane la presenza di formaggi sfusi con targhette recanti l’indicazione “Caciocavallo di Godrano”, oppure di sentire decantare dall’addetto alle vendite la bontà del formaggio Godranese; tali affermazioni, però, meriterebbero quanto meno una conferma attendibile. Un marchio, di fatto, potrebbe innanzitutto evitare i rischi di imitazione o peggio ancora di appropriazione della denominazione. Quindi in un’ottica di salvaguardia e di promozione del caciocavallo Godranese, il riconoscimento di un marchio potrebbe già attivare le normali procedure di controllo che impediscano eventuali abusi, verificando l’autenticità del prodotto nella vendita locale e sui banchi cittadini. In mancanza di un marchio di riconoscimento la meritata fama di questo prodotto potrebbe essere compromessa da altri formaggi aventi caratteristiche mediocri. Sono molti infatti i formaggi realizzati in caseifici industriali con tecniche profondamente diverse e con latte pastorizzato proveniente da animali allevati in maniera intensiva ed alimentati in stalla con foraggi secchi e concentrati, che nulla hanno in comune con il prodotto in questione.

Per fortuna, emergono i primi segnali di una seria rivalutazione di questo formaggio accompagnata da un rinnovamento, non soltanto strutturale, delle aziende zootecniche del territorio. Un sussulto generazionale alimentato da motivazioni occupazionali che ha convinto i più giovani ad impegnarsi nel rilancio delle aziende di famiglia. Un fresco input di manodopera, di idee e di speranze che auspicabilmente contribuirà ad affrettare quella riorganizzazione del settore attesa ormai da tempo.

Paradossalmente il ritardo nell’adeguamento di molte aziende potrebbe aver rappresentato un certo vantaggio sotto il profilo del mantenimento della tradizione casearia, in quanto, come già accennato, l’uso di antichi attrezzi in legno e l’abilità manuale tramandata nel tempo conferiscono a questo formaggio la forte personalità che solitamente distingue i prodotti tipici ad impronta locale. Personalità che nei processi industriali si appiattisce fino a scomparire del tutto.

Nel fissare una linea di spartiacque tra presente e passato emerge continuamente una necessità di fondo che diventa, al punto in cui siamo, una conditio sine qua non affinché tale importante risorsa casearia sopravviva, ovvero quella dell’ottenimento di un marchio certificato che protegga prodotto e produttori e che assicuri al mercato le garanzie di rispetto del disciplinare di produzione. Sotto questo profilo un primo passo è stato compiuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali che ha inserito ufficialmente il caciocavallo Palermitano tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Questo riconoscimento potrebbe essere speso, in parte, sul mercato dagli allevatori del territorio Godranese a condizione, però, che all’istituzione del marchio corrisponda l’adozione di un disciplinare di produzione adeguato e tracciabile e, soprattutto, dei controlli opportuni da parte degli enti certificatori, cosa che, purtroppo, ad oggi sembra di là da venire.

Il futuro di una produzione di nicchia così fondamentale per la piccola realtà di Godrano dovrebbe procedere contemporaneamente alla salvaguardia delle razze bovine autoctone siciliane come la Modicana e, soprattutto, la Cinisara che ben si adattata al contesto montano locale caratterizzato da pascoli impervi e roccia affiorante, nel cui ambito risulta capace di una discreta produzione quali-quantitativa di latte. Quasi ovunque in Sicilia, dove le condizioni di allevamento intensivo o semi-intensivo lo hanno permesso, l’ammodernamento dei modelli aziendali ha comportato la sostituzione delle razze autoctone con razze cosmopolite, come la Frisona, la Bruna o la Pezzata Rossa, certamente più produttive ma meno rustiche e che necessitano di tecniche di allevamento più attente e costose in termini di strutture, di alimentazione, trattamenti sanitari, ecc. L’allevamento di queste razze bovine, sia in purezza sia come riproduttori incrocianti, ha certamente aperto uno scenario commerciale più ampio per le aziende locali avendo implementato la produzione di latte rispetto al passato. I pascoli dell’area Godranese, a causa della loro marginalità, tuttavia sono maggiormente adatti all’allevamento delle razze autoctone, ma il ritorno a tale tipo di zootecnia è visto da molti allevatori come un salto nel passato, che comunque necessiterebbe di nuovi investimenti. Forse, anche in considerazione dell’opportunità commerciale rappresentata dal legame razza-formaggio dal quale consegue un maggiore apprezzamento da parte degli esperti e dei fautori della salvaguardia della biodiversità animale, qualche allevatore potrebbe riconsiderare tale eventualità.

Conscia di questa necessità negli ultimi anni l’amministrazione comunale ha messo in agenda alcune azioni volte proprio al riconoscimento delle produzioni locali. Con delibera n. 5 del 29/01/2015 il Consiglio Comunale ha approvato l’istituzione della Denominazione Comunale di Origine per la tutela e la valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali locali. Più di recente, con la delibera della Giunta Comunale n. 49 del 01 giugno 2018, veniva avviata la procedura per il riconoscimento del marchio di qualità I.G.P. (Indicazione Geografica Tipica) al Caciocavallo di Godrano. In mancanza di altro, questi atti di carattere tecnico-amministrativo dovrebbero rendere questo prodotto maggiormente riconoscibile sul mercato, ma soprattutto dovrebbero costituire la base per la definizione, la condivisione ed il rispetto di un disciplinare di produzione condiviso fra i diversi caseifici.

Tutte le possibilità fin qui snocciolate sono ben poca cosa rispetto a quella rappresentata dal massimo riconoscimento attribuibile ad un prodotto agroalimentare, ovvero la Denominazione di Origine Protetta (DOP) rilasciata dalla Unione Europea dopo un iter relativamente lungo. Tale certificazione, alla quale sicuramente il caciocavallo prodotto nel Palermitano può ambire, costituirebbe un volano di crescita inimmaginabile in grado di salvaguardare, promuovere e rilanciare la zootecnia bovina da latte nei contesti marginali come quello Godranese.

In definitiva i produttori di questo dovrebbero accettare la possibilità di fare rete, convergendo verso una logica produttiva capace di identificare un’areale di produzione ben preciso all’interno del quale siano riconoscibili le aziende, i pascoli, i regimi alimentari, le tecniche di allevamento e di caseificazione, al fine di esitare sul mercato un formaggio relativamente omogeneo, immediatamente distinguibile per forma, dimensioni e caratteristiche sensoriali.

Questo comporterebbe un legittimo aumento del prezzo di vendita e la conseguente rivalutazione dello stesso formaggio che, se venduto ai bassi prezzi attuali, alla lunga non riuscirebbe a ricompensare adeguatamente la fatica degli allevatori-casari. Vale la pena di ricordare che la tecnica di caseificazione tradizionale necessita di due giorni di lavorazione ed un impiego di manodopera maggiore rispetto a quella richiesta nei procedimenti industriali.

Per l’urgenza di stabilire una rete di aziende con finalità comuni potrebbe quindi far comodo creare un consorzio di produttori che detti delle regole precise evitando il rischio di imitazioni anche a carattere locale, identifichi i più adeguati canali di distribuzione e le strategie di commercializzazione, pianifichi le necessarie campagne pubblicitarie corroborandole con eventi periodici e richieda il supporto della ricerca scientifica applicata alla linea produttiva ed all’interazione con le aree pascolive.

L’abolizione delle quote latte, in atto dal 2015, rappresenta un’ulteriore possibilità di sviluppo per le aziende zootecniche del Godranese. Sullo sfondo, però, rimane sempre la clausola della difesa della qualità e dell’originalità, che si traduce nella salvaguardia della provenienza della materia prima e nel rispetto del disciplinare di produzione. Com’è noto, i prodotti di nicchia ottenuti da un tipo di zootecnia condotta in zone marginali, quale è il caciocavallo di Godrano, riescono a rimanere sul mercato solo se puntano sulla qualità e su canali di vendita particolari, come ad esempio i GAS (gruppi di acquisto solidale) o i mercati del contadino, che prevedono il contatto diretto con consumatori più attenti all’alimentazione, dotati di una coscienza sensibile alle tematiche ambientali e quindi disponibili a riconoscere economicamente questo valore aggiunto. Di sicuro, considerate le esigue quantità di prodotto potenzialmente ottenibili nella zona di Godrano, l’approccio verso il mercato non può essere assimilabile a quello dei prodotti industriali venduti presso canali commerciali ordinari come la GDO.

Infine, una riflessione di carattere socio-economico è d’obbligo poiché nella realtà Godranese è sempre più diffusa la sensazione che la produzione casearia possa costituire una strada praticabile per sopravvivere alla crisi economica degli ultimi anni, ed oggi ancor di più dopo il cataclisma economico prodotto dalla pandemia da Coronavirus (Covid-19). Una consapevolezza maturata anche per il lento tramonto di un’epoca che, almeno nel meridione ed in Sicilia, ha generato forme di reddito scollegate dalla produzione reale. Da questo punto di vista Godrano vanta un record nazionale per il rapporto tra numero di impiegati nel settore forestale e forza lavoro attiva, e per questo è ingiustamente additato sui periodici nazionali, nei talk-show televisivi, financo nelle interrogazioni parlamentari come simbolo negativo di questo fenomeno politico-sociale che in Sicilia ha assunto così ampie proporzioni. Nessuno però dice che la logica del lavoro precario, stagionale, del “poco, maledetto e subito” ha distratto dalle proprie abilità e professioni moltissime persone che, in alternativa, avrebbero potuto intraprendere attività di tipo imprenditoriale, rendendo meno problematica l’annunciata revisione dello stesso settore forestale. Revisione già in atto poiché il blocco del turn-over impedisce da tempo l’ingresso dei giovani e dei giovanissimi nei contingenti forestali. Cittadini di età compresa tra i venti ed i quaranta anni che pur di non emigrare altrove provano a recuperare la tradizione zootecnica familiare per darsi una chance. I nuovi caseifici ed i punti vendita di carne aperti nel territorio negli ultimi anni ne sono la prova più evidente. Questa è una piccola rivoluzione in tempi di crisi: aggrapparsi alla tradizione per provare a risolvere la questione lavoro. L’Italia, la Sicilia…Godrano, possono permettersi questa speranza perché c’è ancora tanta sapienza, qualità ed ora anche necessità.

La lavorazione del Caciocavallo godranese

                                                                                                                                                                Immagini ANTONINO DI GRIGOLI

Il momento in ci la rotula

inizia a rompere la quagghiata ottenuta all'interno della tina per aggiunta di caglio

al latte bovino

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Segue la fase della pressatura

durante la quale viene separato il siero dalla cagliata attraverso una semplice azione pressoria esercitata tramite l'uso di una cisca

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A questo punto la pasta coagulata

e già privata dal siero

viene tagliata a fette e posta sulla cannara a spurgare

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Nel frattempo la tina è stata lavata

ed è pronta ad accogliere la fase successiva in cui la tuma sgrondata viene riposta all'interno e messa

a cottura per circa 4 ore nella

scotta portata a circa 80°

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La tuma così ottenuta viene estratta

definitivamente dalla tina e pressata sulla cannara al fine di diminuire il grado di umidità e rendere la pasta più compatta

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Il primo giorno di lavorazione del caciocavallo si conclude ponendo

la tuma"a cavallo" dell'appizatuma

in attesa che nelle ore seguenti giunga ad un grado

di acidità ottimale

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Da questo momento la lavorazione prosegue all'interno del piddiaturi.

Qui alla tuma asciugata, acidificata e tagliata a fette, viene aggiunta la scotta calda che ne rende

possibile la filatura

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Dopo essere stata filata grazie al movimento prodotto dal casaro col maciliatuma la pasta assume

la consistenza ottimale

per essere modellata

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A questo punto inizia la fase manuale dell'accuppatina con cui i casari dopo ripetuti modellamenti

si avviano al termine del

processo di produzione

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Al termine di quest'ultimo processo

la pasta filata assume una forma sferoidale

ed una superficie liscia

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La forma parallelepipeda del caciocavallo viene impressa

all'interno del tavuleri attraverso una serie di passaggi pressori in spazi sempre più ristretti

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Assunta la sua forma parallelepipeda definitiva il caciocavallo viene immerso in una soluzione salina satura dove rimane per un tempo pari ad un giorno per ogni kg di peso

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Il prodotto finito e salato può dunque essere consumato fresco, anche pochi giorni dopo l'asciugatura dalla salamoia oppure stagionato per diversi mesi a seconda della richieste

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