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Il Gorgo del Drago ovvero il Gorgo Tondo

Orazio Caldarella

Secondo l’interpretazione del Raccuglia (1911) – autore di un contributo sull'origine del limitrofo abitato di Mezzojuso – la prima attestazione storica dell’esistenza del Gorgo del Drago risalirebbe al 1182, anno in cui il monarca normanno Guglielmo II fece redigere il cosiddetto Rollum bullarum (comunemente noto come Rollo di Monreale), documento in cui venivano minuziosamente descritti la composizione ed i confini di una consistente parte dei domini della chiesa monrealese. In quest’ultimo documento si fa riferimento al lacum ciperi, che per la posizione rispetto ad altri toponimi richiamati nello stesso testo “...non poteva che essere che quello oggi è detto di Godrano, il gurgo del Drago...”. Questa interpretazione, probabilmente non teneva conto, dell’esistenza di un più vasto sistema acquitrinoso, descritto già nel Libro di Ruggero, che può invece ragionevolmente individuarsi nella non discosta località Biviere.

 

L’importanza storica del Gorgo del Drago (o Vurgu Tunnu, come lo intendono i godranesi) è invece dovuta alla presenza di una peschiera(Foto 155), che rientra in un più ampio sistema di opere (tra cui anche la Real Casina di Caccia di Ficuzza(Foto 156), il Pulpito del Re(Foto 157), varie carrarecce e numerosi bevai) realizzato dai Borboni all’inizio del XIX secolo, di cui oggi resistono alcuni corpi di fabbrica in parte interessati da discutibili interventi di recupero. La costruzione di questo manufatto, ed in particolare il muro d’argine lungo la sponda orientale del bacino, determinò l’innalzamento del livello dell’acqua nell’invaso, consentendo l’itticoltura nonché l’esercizio venatorio, pratiche in auge tra i blasonati dell’epoca. Testimonianze locali affermano che fino agli anni ‘60 dello scorso secolo, era attivo un sistema di chiuse per la gestione del sovrappieno del gorgo, che consentiva alle acque in eccesso di defluire verso valle e raggiungere le aree agricole nella parte alta del Torrente Azziriolo (affluente del Fiume San Leonardo). Ancora oggi in località Monticchio, lungo il corso del Torrente Frattina sono ben visibili i resti di un vecchio mulino ad acqua e del cosiddetto Paraturazzu, un’antica paratia che sbarrando il corso del torrente consentiva l’accumulo di un certo volume d’acqua utile per le macinazioni più tardive.

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La Peschiera borbonica aI margine del Gorgo del Drago opera che probabilmente avrà contribuito ad innalzare il livello dell'acqua di una depressione preesistente

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Il Real Casino di Caccia dei Borboni a Ficuzza

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Il Pulpito del Re, affascinante reliquia rupestre associata alla presenza dei regnanti borbonici che nei loro possedimenti praticavano la "nobile" arte della caccia.

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Sino alla fine degli anni ’40 nelle aree circostanti al gorgo veniva praticata un’agricoltura di sussistenza che, data la natura sabbiosa del terreno e la ridotta vocazione agricola dei suoli – nel vernacolo locale “tirreni leggi” (= terreni leggeri) – era principalmente dedicata alla coltivazione messicola di avena e di alcune varietà autoctone di frumento (Pacenzia e Cicireddu) che ben si adattavano al substrato. Inoltre, la presenza di diversi manufatti di tipo pastorale emersi durante i recenti lavori di diradamento del rimboschimento, testimonia la fervente attività condotta nelle adiacenze dell’area umida.

Il biotopo, tuttavia, presentava un assetto della vegetazione(Foto 158) alquanto differente da quello attuale. Fonti locali riferiscono, infatti, dell’esistenza di un unico punto di abbeverata per le greggi e gli armenti lungo tutto il perimetro del gorgo, mentre nella parte restante delle sponde una larga e continua cintura di Cannuccia di palude (Phragmites australis; d.= Cannizzola)(Foto 159) e Lisca minore (Typha angustifolia; d.= Bbura)(Foto 160) impediva al bestiame di raggiungere agevolmente l’acqua.

 

Al termine degli anni ‘40, in seguito al passaggio del Bosco di Godrano all’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, iniziò l’opera di rimboschimento, attraverso la realizzazione di un vasto sistema a gradoni e la piantumazione in prevalenza di Pinus pinea e Populus nigra(Foto 161), che ancor oggi caratterizzano la fisionomia dell’area.

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Il Gorgo del Drago come appariva negli anni '70. Una cintura di

Typha angustifolia (Bura) perimetrava per intero le sponde dell'invaso.

Foto: prof. Silvano Riggio

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La Cannuccia di palude -  

Phragmites australis Cannizzola  

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La Lisca minore - Typha angustifoliaBura  

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Una prima linea di alberi

intorno al perimetro del gorgo

è stata rimboschita con Pioppo nero (Populus nigra).

Nel Resto l'intera area circostante è un ampio e continuo impianto di

Pino domestico (Pinus pinea)

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Le fonti intervistate indicano concordemente il 1988 come ultima annata prima dell’essiccamento(Foto 162) protrattosi poi per oltre un ventennio. In precedenza, il bacino, seppur interessato dalle fluttuazioni stagionali, manteneva un livello idrico più o meno stabile anche durante la stagione siccitosa, grazie anche all’apporto della sorgente dell’Acqua Annunziata(Foto 163) che iniziava a sgorgare, come tradizione vuole, a ridosso del 25 marzo, giorno dell’Annunciazione di Maria. Durante il ventennio di prosciugamento, la stessa sorgente è rimasta inattiva, ripristinandosi solo nella primavera del 2010, in coincidenza dell’innalzamento del livello del gorgo. Ciò testimonia una loro possibile connessione all’interno di un più ampio sistema idrogeologico che, a seguito delle abbondanti precipitazioni del 2009 e della primavera 2010, ha visto rimpinguare una falda acquifera, in deficit da oltre vent’anni. Nello stesso biennio, come rilevato dall’Osservatorio Agroclimatico presso il Ministero delle Politiche Agricole (CRA-CMA, 2012), le precipitazioni medie annue per il territorio provinciale hanno segnano rispettivamente 935 e 960 mm, ben oltre la media del decennio 2002-2011 che si attesta a 717 mm annui.

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Un'immagine del 2008 con l'invaso che in pieno inverno si

presentava completamente asciutto

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Solo di rado la sorgente Acqua Annunziata sgorga rimpinguando il gorgo sottostante.

Numerose sono le ipotesi relative alla scomparsa dell’acqua dal biotopo. Come qualcuno riferisce, ad esempio, nell’estate del 1988, un incendio interessò le aree circostanti l’invaso, irradiandosi poi anche nella parte emersa del fondale, consumando attraverso una lenta combustione il substrato organico asciutto accumulatosi in decenni di deposizione e lasciando una spessa coltre di ceneri. Tale episodio potrebbe aver inciso in modo determinante sull’impermeabilizzazione del fondo dell’invaso compromettendone il regime idrico. Secondo altri locali sentiti a riguardo, la sorte del gorgo sarebbe invece legata alle trivellazioni effettuate a valle del sito a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, che avrebbero alterato l’assetto della falda sottostante. Qualcun altro indica gli eventi meteorici del 1956 con i relativi fenomeni di frana e smottamento, nonché il sisma del 1968, come principio di una inesorabile fase di declino culminata poi con l’essiccamento del gorgo.

Al di là di ogni ragionevole ipotesi – al netto di quelle più suggestive e fantasiose che qui si omette di segnalare – rimane il fatto che per oltre un ventennio questo ambiente umido ha attraversato una prolungata crisi idrica, tale da comportare evidenti riflessi negativi sulla flora, la vegetazione e la fauna originarie. Nel corso dell’ultimo decennio il gorgo ha alternato fasi di pieno invaso a periodi più secchi, ricalcando in parte l’andamento delle precipitazioni e di conseguenza del livello della falda imbrifera.

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